Teatro

LONDRA, FAUST

LONDRA, FAUST

London, Royal Opera House Covent Garden, “Faust” di Charles Gounod

HOMMAGE A FAUST  

Quasi  in contemporanea i teatri dell’opera di  Londra e Parigi propongono il Faust di Gounod  in due produzioni molto attese e se alla Bastille la vedette è  Roberto Alagna, al Covent Garden torna Angela Gheorghiu (curiosamente di lui consorte) nella produzione di Mc Vicar ripresa da Lee Blakely.

Per caratterizzare quest’opera come prodotto culturale di “consumo” di una data epoca, Mc Vicar traspone la vicenda dalla Germania medievale alla Parigi del Secondo Impero contemporanea di Gounod, di cui restituisce con immediatezza l’atmosfera borghese edonista e sensuale. Il regista adotta l’espediente del “teatro nel teatro”, di cui sfrutta con intelligenza i vari livelli narrativi in una rappresentazione in cui si confondono realtà e immaginazione. Il teatro è l’impero di Mefistofele, impresario illusionista che dà vita ai sogni repressi del vecchio Faust trasformato sotto i nostri occhi in aitante giovane con l’aiuto di un camerino da trucco itinerante ricavato in un baule. Teatro e realtà, sacro e profano, si ritrovano nella suggestiva scena di Charles Edwards dove uno spaccato di un teatro d’opera, evidente omaggio all’Opéra Garnier, si contrappone ad architetture ecclesiastiche o al catafalco con crocifisso che galleggia sul palcoscenico come una zattera alla deriva, come scorci cittadini “minori” e ambienti piccolo-borghesi  intravisti dal balcone. Fedele alla sua cifra stilistica,  il regista dona un tocco di  trasgressione introducendo mimi  irriverenti (prostitute, acrobati, ballerini seminudi) che contribuiscono ad amplificare le ambiguità e a sottolineare un contesto sociale lascivo: l’impero di Mefistofele  è il  Cabaret l’Enfer, dove sguaiate ballerine solleticano clienti viziosi.

Lo spettacolo trova la sua apoteosi nella Notte di Walpurgis, introdotta dalla vista di una sala da teatro proiettata nel buio. Coni di luce e fumo svelano bellezze cortigiane d’oro e d’argento che immobili come statue emergono dal palcoscenico con Mefistofele  travestito da donna che guida il baccanale a colpi di ventaglio. Faust assiste a uno spettacolo di danza classica fra quinte bucoliche, ma il balletto convenzionale (come del resto la musica di Gounod) vira nella sua dissacrante parodia: Giselle dagli occhi cerchiati e i lunghi capelli spettinati è incinta come Margherita e dai palchi calano uomini lascivi con le mascherine sul viso pronti ad accoppiarsi brutalmente con le candide ballerine. Il balletto è scandito da grida sguaiate che, se pur completamente estranee al tipo di musica, danno una verità drammatica all’intermezzo rendendolo coerente. Inoltre, l’avere introdotto un secondo piano narrativo con Faust spettatore, fa sì che il balletto possa essere  una sorta di incubo generato dalla coscienza del protagonista. Dopo la scena della prigione, dove sfilano in cerchio come alienate replicanti di Margherita, l’assoluzione la darà Charles Gounod, in piedi in un palco di proscenio in atteggiamento paternalistico e benedicente, a ribadire ancora una volta che non è il Faust di Goethe, ma il suo.

La regia non mostra segni di stanchezza, ma anche sul piano vocale il cast risulta uno dei migliori possibili. Nel ruolo protagonista  ritroviamo Vittorio Grigolo, apprezzato qualche anno fa  in Faust a Valencia ed ora decisamente maturato. Il suo Faust impetuoso, nonché giovane e bello,  rende palpabile il desiderio dell’eterna giovinezza  e la  voce generosa dal canto tutto slancio e abbandono infiamma l’audience. Il tenore ha affinato lo stile e la dizione francese è più sorvegliata, ma per qualità  timbriche e interpretative è  un Faust   “all’italiana”, anima, voce e cuore.
Il Mefistofele di Rene Pape ha tutta la gravitas e autorevolezza dell’Entità malefica, merito di una voce morbida e maestosa dalla perfetta emissione che regala  brividi nella scena della chiesa e nell’invocazione alla notte di  tenebrosa suggestione. Un Mefistofele  decisamente diabolico, poco istrionico ma non privo d’ ironia, elegante anche nel fraseggio.

Della Margherita di Angela Gheorghiu apprezziamo, oltre che la voce sempre a fuoco, la musicalità  ineccepibile e le finezze nei passaggi. L’aria dei gioielli è leggera e fiorita comme il faut ma un poco leziosa, più intensi i momenti drammatici (come la scena della chiesa) dove abbandona ogni traccia di maniera.
Per carisma scenico e possanza vocale Dmitri Hvorostovsky dà un insolito rilievo al personaggio di Valentin, quasi insolente per  la sicurezza del canto e una presenza magnetica ad alta tensione: con un quarto protagonista  l’opera acquista nuova luce. Convince pienamente anche Michele Losier, Siebel sensibile, di notevole spessore vocale ed interpretativo. Notevole la cura nei ruoli minori, Daniel Grice è un Wagner che non passa inosservato, Carole Wilson è una Marthe incisiva.

Evelino Pidò offre una direzione fluida e duttile che consegue il difficile equilibrio fra pathos,  leggerezza  e sensualità. Una lettura e attenta nell’accompagnare il canto senza nulla sacrificare a  ritmo e intensità drammatica.
Ottima anche la prova del coro in quest’occasione particolarmente puntuale ed affiatato.
Un plauso al corpo di ballo e alle coreografie riprese da Daphne Strothmann fondamentali per la riuscita dello spettacolo. 

Successo trionfale per un Faust intelligente ed emozionante. Da non perdere.

Visto a London, Royal Opera House, il 18 settembre 2011

Ilaria Bellini